mercoledì 6 dicembre 2017

Sen Laura BIGNAMI (Movimento X). Testamento Biologico e Fine Vita. 6.12.207



Signor Presidente, la vita è sacra. «Sacro» significa intoccabile e inviolabile. La radice verbale del sanscrito è «sak», avvinto dalla divinità. Concedetemi di sostituite il termine divinità con dignità e di fare una riflessione sull'argomento, così tanto vitale.
Ora mi chiedo se e cosa noi sapiens facciamo per gli uomini e le donne allo scopo di garantire la sacralità della loro vita durante tutta l'esistenza, per coloro che soffrono e per coloro che curano.
Mi chiedo se questa sacralità non venga meno molto prima che la malattia e la sofferenza giungano a livelli insostenibili, chiedendo ad evocando, nella nostra società liberale, la libertà di porre fine alla propria presenza fisica in questa realtà.
Mi chiedo se sia possibile che si arrivi a situazioni tali dove il desiderio di morire sia così forte e se anche questo non sia, in certi casi, solo frutto di abbandono e desolazione sociale.
Mi chiedo se la stessa sacralità e dignità siano egualmente tutelate, senza discriminazione di sorta. Non voglio citare casi recenti di suicidio assistito per disperazione e perdita di dignità o di infinita assistenza medica e sostegno umano, garantiti da ingenti risorse economiche e presenza sociale.
Mi chiedo anche se la sacralità e la dignità della vita di coloro che curano, dei caregiver, siano rispettate e se anche un loro testamento biologico sia, di fronte a tanta fatica, un vero testamento consapevole, per il loro amato o per loro. Quanti di loro vorrebbero cessare di vivere, quanti di loro non ce la fanno più!
Mi chiedo se anche loro, come persone la cui libertà è violata, non siano o non saranno in grado di discernere e scegliere consapevolmente, per sé o per l'amato.
Mi chiedo se la coscienza e la ragione dell'uomo siano già compromesse nel momento della scelta di porre la richiesta e se questa sia presa consapevolmente e razionalmente.
Mi chiedo se sia davvero possibile che una scelta del genere sia mai consapevole e se l'essere umano possegga, in quel momento e successivamente, la vera libertà personale, la vera capacità di discernimento tra il continuare e il cessare: non confondiamo la libertà con la liberazione.
Mi chiedo cosa sia la consapevolezza in una persona malata e quale sia il limite tra la consapevolezza e l'inconsapevolezza. Può il diritto di uno Stato sociale sancirlo?
Le dottrine comprensive, cioè le religioni, hanno subìto e sempre una risposta, ma evidentemente questa risposta, in quest'Aula, può solo servire al dialogo e alla riflessione, non di certo essere imposta ad uno Stato e a un popolo laico, né tantomeno una risposta contraria può essere imposta al singolo individuo, perché la sacralità della propria vita sta proprio nell'intoccabilità. "Intoccabilità" significa "non toccare" qualcosa, ma questo qualcosa appartiene all'organismo in sé e non agli organismi fuori dal sé. Quindi, se ci liberiamo di una risposta teista dottrinale, pur condivisibile da molti, è solo in sé e da sé che la vita può essere posta a termine, senza che la sua sacralità e la sua dignità vengano infangate e infrante.
Per gli storici, un carpentiere sovversivo, girovago e filosofo, 2.000 anni fa fu giustiziato, per i teologi cristiani invece si trattò di Dio, che pianificò il più alto gesto sacrificale, di dare la propria vita umana per gli altri. Possiamo forse dubitare della consapevolezza di Dio? No, per definizione Ma se accettiamo la consapevolezza di Dio come unica possibile, possiamo certamente dubitare della consapevolezza dell'uomo e ancor più della consapevolezza del malato, della persona sofferente e della persona che lo accudisce.
Il diritto all'autodeterminazione non può essere sottratto alla libera scelta della persona, sia questa consapevole o meno, ma la consapevolezza della morte non esiste, non è possibile ed è questo il dilemma. Esiste la consapevolezza del dolore e dell'angoscia e questa potrebbe bastare per chi è autonomo nell'azione e nelle proprie scelte, ma mai, assolutamente, per chi non lo è. Quindi, per la persona psichica o profondamente disabile, che non è in grado di discernere e di agire liberamente, non è legittima alcuna delega ad altri. Si determinerebbe la violazione dell'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, discriminando la libertà negativa della persona sull'handicap o asintoticamente sulle caratteristiche genetiche.
Solo se il riconoscimento della volontà rimane indelegabile è possibile restare lontani dagli interessi fittizi di una società che si arroga il diritto di decidere della vita di una persona. Nessuno può farsi arbitro della vita altrui, nessuno può definire delle non persone. È già successo con i totalitarismi e non deve succedere mai più: vi sia la capacità di scegliere, ma per se stessi, non per gli altri. «Intoccabile» significa non toccare, ma chi si toglie la vita non tocca, lascia, lascia solo ciò che possiede. Il tocco presuppone estraneità, è esterno e quindi non deve essere concesso, mai. Ecco il senso del sacro, ma ecco anche il senso del disporre di se stessi quando non si sente più niente di sacro, il senso di non violare la sacralità quando il tocco è accanimento esistenziale.
Diceva Walter Benjamin, come ci ricorda lo scomparso Rodotà: «L'uomo non coincide infatti in nessun modo con la nuda vita (...) né con alcun altro dei suoi stati o proprietà, anzi nemmeno con l'unicità della sua persona fisica». Della vita decide la vita stessa e solo chi la possiede e il possesso della propria vita è dello stesso uomo, al di sopra di ogni principio. Habeas corpus che viene garantito come diritto alla salute dall'articolo 32 della nostra Costituzione.
La nostra Corte costituzionale, in riferimento agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, ha organicamente sistemato, nella sentenza n. 438 del 2008, l'esplicito riferimento all'autodeterminazione come diritto fondamentale della persona, relativamente al consenso informato.
L'uomo è sovrano di sé stesso e nessuna volontà esterna può prendere il posto di quella dell'interessato, figuriamoci nel caso di una figura debole e fragile o non consapevole. Se la sovranità non è esercitabile da sé, nessuno si deve arrogare il diritto di esercitarla per l'altro. È proprio per questo che la scelta non può essere delegata a nessuno se non nel rispetto passivo della volontà del non agire e del non soffrire. Questo vale dal giuramento di Ippocrate, passando per il codice di Norimberga, dove il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente necessario.
Meglio mille volte il folle che decide di farla finita con se stesso, con il proprio essere, che il sano che decide per il folle, annullando l'essere. Perché la follia l'abbiamo definita noi per mettere al sicuro la società, non il folle, così diceva Foucault.
L'autodeterminazione esige il massimo rispetto e la massima considerazione proprio in questo caso, se e solo se esercitabile. Non c'è un piano B.
Quindi dico sì all'autodeterminazione della persona, se sussistono le condizioni di libertà e se queste sono sempre verificabili, ma dico no alla determinazione altrui, dico no all'aborto "extrauterino" a posteriori e alla selezione eugenetica, a priori e a posteriori.
Come ci ricorda l'appena scomparso Baumann, la vita è un'opera d'arte. E, aggiungo io, l'arte non è giurisprudenza, non è biologia, medicina o tantomeno statistica. La vita è sacra, ma forse abbiamo dimenticato la sua declinazione più importante: l'amore.
Fate la vostra campagna elettorale, ma giù le mani dai minori e giù le mani dai disabili! (Applausi dal Gruppo Misto-MovX e dei senatori Giovanardi e Rizzotti).

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